Vi è un paese che ancora produce scultori seri e ragionati, indifferenti, alla frenetica, seppur giustificata, ricerca formale che ha invaso gli Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Germania ed il paese di Boccioni, Medardo Rosso Martini. In Italia la scultura ha delle radicate ragioni di vita, perché l’Italia è il paese delle pietre fini, il paese che ha innalzato cattedrali, castelli, palazzi e fontane tutte tagliate nei marmi, nelle pietre e (una volta) nei legni più famosi. Altrove la scultura è reazione di intellettuali contro la progressiva “automazione” e industrializzazione, utilizzazione e “consumo” di materiali nuovi o di scorie di materiali impiegati nell’industria; oppure è un gioco e divertimento; opporre ancora esperimento surreale.
Di Gino Cosentino piace subito la genuinità d’impianto di tutte le sculture. La creazione di una scultura è per lui un lavoro di progressiva conquista del materiale, colpo si colpo, di progressiva sua compenetrazione e di affinamento del volume. Dunque il contrario di quanto avviene spesso oggi presso molti sciatorie che giungono alla realizzazione di una scultura partendo da una “idea” e sottoponendovi la materia prima. Ciò permette a Consentino una maggior padronanza dei volumi e un continuo controllo di tagli e di effetti di luce. Una scultura “accarezzata” è più controllabile di una scultura “pensata”.
Proprio per queste caratteristiche del suo lavoro, penso che nelle sculture di piccole dimensioni i risultati Aino più interessanti, perché Cosentino che è un artista maturo da sempre legato all’emozione della creazione, plasma con maggior forza i volumi minori, mentre in quelli più grandi deve affidarsi anche ad una componente che non gli è evidentemente congeniale: la costruzione intellettualistica. Tutta la storia della scultura di Cosentino, cui si deve anche una notevole serie di bas sorilievi per la chiesa di Baranzate, progettata dagli architetti Mangia rotti e Morassutti, è indicativa in questo senso.
L’amore di Cosentino per le sue sculture è chiarissimo e mi pare uno dei lati più insoliti, con i tempi che corrono, e degni di attenzione. In Cosentino ogni tocco è gesto di affetto. Nauralmente, ogni tocco è an che viva partecipazione all’avventura infinita della creazione, plasma con maggior forza i volumi minori, riesco a immaginarmi per Cosentino immensi murali, ma tutti pervasi di questi piccoli gesti creativi, che forgiano piccoli settori dell’opera. Riesco però soprattutto ad am mirare queste piccole sculture, che negli ultimi tempi rivelano qualche simpatia per le pietre totemiche e sacrali (l’arte deve essere anche un po’ mistero, perché sin dalle origini la stessa immagine (era mistero e miracolo), e che sono oggetti raffinati del nostro sentimento.
In Cosentino il problema della forma é naturalmente legato a quello della luce, ed i grandi quadri che figurano in questa mostra vanno spiegati come l’esemplificazione che l’artista fa delle proprie sculture, e l’esasperazione dei volumi, sottolineati dal pennello. Si tratta infatti di bozzetti a posteriori delle sculture, e non di studi preparatori.
La scuola di Arturo Martini ha lasciato in Cosentino segni indelebili ma se in Martini la crisi della scultura era la crisi del monumentale in Cosentino la crisi attuale della scultura e la crisi dell’intellettuali smo e il ritorno alla forgiatura, quasi artigianale, dei « pezzi unici », gesto forse di sfida alla macchina prepotente che invade i nostri orizzonti. Mentre a Parigi i nouveaux-réalistes propongono al pubblico canestri di oggetti di plastica comprati nei grandi magazzini, e mentre a Brooklyn Stankiewicz e Higgins frugano tra le scorie delle acciaierie alla ricerca dell’umanità dell’artista, schiacciato dall’automazione, a Milano, città ancora umana, gli scultori ancora frugano la pietra alla ricerca di luce e di volumi, di tagli e di scorci.
Accademia? Classicismo? Autenticità, piuttosto, di una tradizione che oggi ha le sue carte in regola, proprio perché si allinea accanto ad ogni altro gesto di sfida ad un mondo ormai quasi sovrannaturale che ci entusiasma quando è al servizio dell’uomo ma che ci scoraggia quando, sostanzialmente, è contro l’uomo.
Bruno Alfieri