Gino Cosentino. Frammenti di un’autobiografia
(con lo pseudonimo “Ernesto”)
Estratti da (Giampiero Gianazza (curatore) “Gino Cosentino: Carte e parole. Tessere per una biografia, Sedizioni, 2008)
Che cosa vuoi dire nascere in Sicilia
Vuoi dire che nella campagna ci sono molti più insetti e bestie che nella campagna del Nord.
Questa vita brulicante forma gli uomini in un altro modo. Forse più umano. E forse più combattivo. E anche, in un certo senso, più crudele, come in fondo crudele è la legge della natura.
Questo ragazzino particolarmente sensibile si è mimetizzato con queste forze della natura, compreso il profumo dei fiori e i canti dei contadini. La violenza dei gesti e delle azioni, l’abitudine alla povertà, e il desiderio di superarla.
Il carattere contemplativo (anche se si tratta di una contemplazione particolare, quasi un’adesione alla necessità) in questa regione ha più adepti e il tirocinio per assimilare la natura diventa quasi un mestiere che rapisce e prende fino in fondo e coinvolge.
Giorno dopo giorno si cresce tutti insieme natura e uomo e ci si accorge in ultimo che veramente un uomo del sud è molto diverso da un uomo del nord.
La dolcezza e la violenza devono convivere anche se per temperamento non si è disponibili alla violenza.
Le abitudini e i riti, le privazioni sessuali contribuiscono a costruire il carattere speciale del meridionale.
Questa prevalenza degli istinti sulla ragione però dà la possibilità di amare con più forza un sogno, anche se per raggiungerlo ci sono delle difficoltà incredibili.
II sogno quindi diventa il nucleo per cui il meridionale ha più resistenza a sopportare le difficoltà.
La timidezza che scaturisce dalla solitudine e dalle rigorose leggi della famiglia resta un ostacolo molto forte per la realizzazione di un sogno
Gli ostacoli si minimizzano, l’ottimismo diventa complice di guerra nella lotta che, a causa di esso, sembra meno dura.
Le prime cose conquistate agli occhi di queste creature istintive sembrano delle grandi cose, anche se in realtà si tratta delle piccolissime prime conquiste che nei confronti di tutto il mondo sono un granello di sabbia.
Così andando avanti negli anni le diverse tappe vengono ridimensionate su questa scala di valori minimi. A Milano è chiaro che l’anima di questo personaggio meridionale cresce, subisce le sferzate che forse sono un nuovo stimolo, anche se doloroso, per fare il passo successivo.
Per diventare cittadino del mondo e quindi essere distaccato e nelle condizioni di concretizzare le proprie idee, senza esser influenzato dal sentimentalismo innato nell’anima meridionale, occorre più tempo che per un uomo nato nel nord.
Quest’uomo, così provato da questi rigorosissimi ammaestramenti che gli servono per esprimersi, non ha ancora finito perché si è accorto che questa strada dell’esprimersi è sempre in salita e mutano le difficoltà, ma sussistono sempre.
Per un meridionale che vuole esprimersi plasmando la creta o adoperando i colori il periodo di realizzazione è ancora più lungo, ma forse questo tirocinio sofferto può aumentare ”intensità espressiva del prodotto.
La materia si concede un po’ per volta proporzionalmente all’autonomia raggiunta, al distacco dai sentimenti intuitivi
Gli avvenimenti collaterali che la vita inesorabilmente produce sono ancora una sofferenza in più che si accumula come in un deposito di ricchezza che serve per realizzare sempre meglio un’opera d’arte.
È inevitabile che gli abitanti di un pianeta imitino la natura con i suoi gesti di violenza inesorabile e, poiché gli uomini hanno un cervello superiore a tutti gli altri esseri viventi, questa imitazione ha subito delle modifiche addirittura disastrose (vedi guerra, commercio di organi umani, genocidi); liberarsi da questa situazione ormai profondamente radicata è un problema quasi irresolubile.
Per risalire la china bisognerebbe coltivare lo spirito con la conoscenza di ciò che è bene e di ciò che è male. Io non credo che si possa arrivare ad una modifica della coscienza.
Il pianto di una lepre ferita è il disastro più terribile che possa capitare a un cacciatore, ma entra pur sempre negli avvenimenti crudeli della natura. Riuscire a sensibilizzare lo spirito umano con tutto ciò che violenta l’esistenza delle creature potrebbe essere anche l’unica strada che possa dare un barlume di speranza per un miglioramento degli esseri umani.
Nascere in Sicilia vuoi dire essere permeati da avvenimenti naturali di grande bellezza che oltre agli occhi interessano gli altri sensi con i gradevoli profumi dei fiori e della terra.
II clima condiziona uomini e animali che diventano timidi per nascondersi dal sole cocente e per provvedere all’esistenza con grande fatica dovuta agli elementi avversi.
Nei confronti degli esseri umani possiamo dire che tutto ciò forma il carattere dei meridionali.
Solo 60 anni fa l’analfabetismo in Sicilia aveva della percentuali incredibili che io ho avuto modo di verificare e convivervi. Devo dire sinceramente che dal punto di vista umano gli analfabeti sono degli individui deliziosi, ma come modificare lo spirito senza servirsi della cultura? È impossibile.
Ecco che l’evoluzione che bisogna fare per migliorare la condizione spirituale degli uomini comincia dalla cultura. E non si sa se nuovi avvenimenti interiori peggiorino la situazione per questa famosa crescita. E allora è impossibile andare avanti? Che cosa fare?
Mi sembra di essere in un cul-de-sac.
Ernesto
Uno dei tre fratelli dimostrava una sensibilità verso l’arte che lo imbrigliava in una miriade di disavventure nella vita di tutti i giorni e la sua reputazione per gli altri risultava negativa e triste. Questo temperamento contemplativo di Ernesto doveva martoriare la sua esistenza per tantissimi anni. La scuola era un ostacolo insormontabile a causa dei ritmi metodici e delle notizie quasi sempre contrarie ai suoi sogni.
Ernesto era nato per fare l’artista invece le circostanze familiari l’hanno costretto a seguire una strada completamente opposta
La scuola è stata uno dei momenti più duri della sua vita
I numeri, l’economia e commercio, erano il diavolo nero della sua esistenza. Alle volte quando doveva studiare non riusciva a girare la pagina perché una forza da lui incontrollabile si rifiutava di muovere il braccio per girare il foglio. Allora con la fantasia vagava nel mondo della pittura, del disegno e delle costruzioni in legno di oggetti che servivano a realizzare qualche gioco come una tavola con quattro ruote fatte di pre cuscinetti a sfera per lasciarsi trasportare nelle discese molto frequenti in Sicilia.
Poi il contrasto disperato delle abitudini familiari che fagocitavano qualunque impeto verso una attività diversa. Tutto era spiacevole, anche il confronto con i suoi fratelli che riuscivano perfettamente nelle attività normali di un adolescente (gli studi tradizionali).
In questa atmosfera rovente appena Ernesto riusciva a stare solo si abbandonava alla contemplazione della natura, come forse faceva Leonardo guardando crescere l’erba.
Le sole persone che lo interessavano erano i “massari” (custodi della villa) che, oltre a essere degli spaccapietre, esercitavano intensamente la caccia ed allevavano per questo molti cani (cirnechi) e furetti.
La pratica della caccia comportava la conoscenza di diversi mestieri come la fabbricazione delle cartucce e l’abilità di capire i posti adatti a trovare la selvaggina. Questi cacciatori erano completamente analfabeti ed Ernesto si prodigava in tutti i modi per aiutarli e per accontentarli anche in tutte le piccole cose.
È stato veramente incredibile come Ernesto abbia avuto da questi analfabeti la linfa più vitale e più costruttiva per tutto quello che avrebbe fatto dopo. Che questi analfabeti avessero messo k.o. i componenti eruditi della sua famiglia sa veramente di miracoloso.
La cultura ha infinite vie che non coincidono sempre con i maestri, con i dotti che vorrebbero insegnare qualcosa. Passando gli anni, quasi magicamente, Ernesto si avvia nella strada dell’arte con il ricordo dei suoi amici spaccapietre; lui si avvicina alla scultura e con il ricordo di tutte quelle volte che faceva dei favori ai massari (come per esempio dipingere le porte, il letto o fare uno scarabocchio sul muro sopra lo scaldino con la brace dove tutti si riunivano per ripararsi dal freddo.
II subconscio quindi è stato inesorabile, ha seguito perfettamente questi segreti ammaestramenti ricevuti dai suoi amici analfabeti che si sono tramutati in una grande attitudine a scolpire e dipingere. Gli studi ufficiali di Ernesto si sono spinti oltre le scuole superiori verso l’università, niente meno che in economia e commercio.
Ernesto ha dovuto conseguire la laurea in economia e commercio e subire per 20 anni gli incubi degli esami che aveva a suo tempo sostenuto
Ernesto un giorno fa una licenza di convalescenza durante la seconda guerra mondiale; sotto la pensilina di una stazione ha incontrato un professore di matematica della facoltà di economia e commercio e l’ha guardato con tale intensità e tale odio che il professore ha accelerato il passo e poi si è messo a correre.
La guerra così assurda, così stupida, ha però salvato Ernesto dalla ben più stupida e terribile vita di un laureato in economia e commercio che veramente odiava questa attività.
Bisognava che Ernesto si esprimesse nell’attività dei suoi sogni e così è avvenuto.
Si è iscritto alla Accademia di Belle Arti di Venezia conoscendo un grande maestro: A. Martini.
II primo giorno di accademia ha pianto dentro di sé per l’incontenibile emozione di questo avvenimento tanto sognato. Le sue attitudini verso l’arte hanno i appianato le difficoltà ed Ernesto girava felicemente diverse sezioni dell’accademia imparando anche a dipingere.
II denaro risparmiato durante tutti gli anni di guerra i (gli stipendi da ufficiale) gli servì adesso per educare i suoi istinti verso l’arte. Un cammino difficilissimo, pieno di grandi difficoltà che non intaccavano minimamente lo spirito di Ernesto indirizzato verso la realizzazione di un grande sogno.
La materia così vasta e sempre da scoprire per realizzare un’opera d’arte lo ha fagocitato decine e ,decine di anni prima che Ernesto si accorgesse. Solo lo specchio gli ha rivelato che erano passati 60 anni di questa ricerca spasmodica del pensiero da trasmettere attraverso un’opera d’arte.
Si potrebbero adesso raccontare gli episodi della vita di tutti i giorni di questi 60 anni.
Ogni medaglia ha il suo rovescio. Anche le piccole cose che animano il mondo in cui viviamo non sono completamente negative. Un vantaggio che potrebbe essere piccolissimo, come il contenitore usa e getta, può servire (come sta per capitare a Ernesto in questo momento) come contenitore indispensabile per raccogliere un colore che magari si trasformerà in opera d’arte. Di queste occasioni la nostra società ne fornisce a fiumi, ma chi saprà utilizzarle? E poi è proprio vero che un piccolo recipiente che ti capita sotto le mani al momento giusto è veramente il veicolo indispensabile per la costruzione di un capolavoro d’arte?
L’artista non cerca, trova, e le occasioni impalpabili che lo conducono ad agire per far nascere un’opera d’arte sono ancora un mistero e si identificano in una forza astratta elaborata dagli impulsi del cervello.
Ernesto ha messo il rosso in questa scodellina e una goccia è caduta sul celophan che custodisce il tavolo: anche questa è un’occasione da non perdere, perché proprio nel contesto della composizione pittorica bisognava utilizzare la goccia di rosso caduta per fare un’altra tonalità. Tutto concorre alla riuscita dell’opera, anche il modo di appoggiare il pennello, o di strisciarlo, o di tamponarlo, e ogni gesto rivela un risultato che modifica istante dopo istante l’andamento dell’opera. Un quadro quindi è un susseguirsi di vibrazioni con il pennello sulla tela controllato dagli occhi.
La conquista della tela si raggiunge quindi adoperando la tecnica ispirata secondo dopo secondo, minuto dopo minuto.
La vita di Ernesto quindi è soggetta a questi avvenimenti che sembrerebbero casuali. Alla fine del quadro una angoscia profonda si scatena nella sua anima sia perché è finito il quadro, sia perché avrebbe potuto essere più bello. Allora Ernesto si tuffa nella vita cercando di fare altre cose: l’amore e la pappa per il gatto.
II bambino di Ernesto ha ora bisogno di essere assistito e accudito: un pezzo di vita si mescola con i colori della tavolozza. Altri avvenimenti e altri ancora riempiono le sue giornate, ma l’arte è magnifica: senza accorgersi ingoia ogni cosa che diventa poi linfa per la sua vita. Ernesto ha capito tutto questo e con sapiente freddezza guidata sempre dall’istinto volutamente alterna i fatti della vita con quelli dell’arte…
Frammenti sparsi
a) Primo ricordo d’infanzia
Un terrazzo che circondava la casa..
Io ero per terra, con le gambe sulla ringhiera. Passava uno dei cinque figli del mio portinaio e mi disse: Ce fai ”incagni”.
A me sembrò incredibile che dal mio atteggiamento capisse quello che sentivo.
Così il tempo scivolava in modo stupido; io sentivo che inesorabilmente il tempo doveva passare e poi qualcosa sarebbe accaduto, ma molto lontano nel tempo.
Mi mettevo seduto sul terrazzo a guardare la sciara (1, 2, 3, 4 ore). Quando i miei genitori tornavano mi trovavano ancora seduto a guardare la sciara.
Crescendo il mio primo interesse è stato per un fucile. Era talmente impegnativo e pericoloso che mi stuzzicava molto. L’acquisto a nove anni di un calibro 36 mi diede un attimo di gioia. Gli entusiasmi non erano mai a metà, erano totali. C’era la febbre del fucile e della caccia. Tutto era in vista di questa possibilità.
Il tempo passava preparando le cartucce (e rubandolo alla scuola).
b) Una volta cresciuto Ernesto deve aver acquisito dalla natura l’influsso romantico che emana da questa terra di fuoco, si è trovato fra capo e collo predisposto alla pittura, alla musica, una delle più gravi sciagure che possa capitare a una creatura che nasce nel meridione, ma lui di questo non si rendeva conto. Bastava la voce stridula della Titina che veniva a trovare la famiglia che si sentiva prendere da un fuoco indescrivibile che lo prendeva dai piedi fino ai capelli.
Intanto la scuola che frequentava (l’istituto tecnico commerciale) era la sventura maggiore della sua vita e più tardi doveva accorgersi che questa sua inettitudine alla scuola lo poneva immediatamente fuori dall’interesse di qualunque di queste ragazze della buona società che frequentavano la sua famiglia. Copiava i grandi maestri del colore, soltanto perché una di queste ragazze potesse fargli un complimento, ma questo non si verificava perché Ernesto era l’ultimo della classe. La religione che regnava nell’animo di questa borghesia era ben lontana dall’aiutare i poveri di spirito. Piuttosto le preghiere potevano servire perché il signore potesse convincere il primo della classe a decidersi a fare una profferta di matrimonio.
c) Turi, Carmelo, Pippo, Donna Domenica e Ciccio, il marito di Domenica, riempivano la giornata di Ernesto. Erano i figli del portinaio, tutti cavapietre e cacciatori di mestiere. Uno faceva il contrabbandiere. Faceva passare dal dazio i barili di vino facendoli scivolare fissati a un anello su una corda tesa tra un edificio e un albero. Poi proseguiva a piedi al chiaro di luna. Tutto il contrabbando era questo e permetteva di tirare avanti mangiando pane e olio.
Ho visto uccidere dei gatti perché disturbavano i conigli e mi sono accorto che questa carneficina è molto meno grave dei comportamenti beneducati ma profondamente ipocriti della società a cui appartenevo. Ho sentito gemere i gatti per delle ore.
d) Il mese di Aprile era per Ernesto un grande avvenimento perché gli uccelli migratori alle quattro del mattino potevano essere oggetto di preda inusitata e emozionante. Prima di andare a scuola, fucile in spalla, Ernesto scetava (svegliava) un uomo e si portava nella proprietà attigua alla sua casa aspettando la caccia, le quaglie, le tortore, i grassotti, i misseddi (trampolieri) che venivano dal nord. Quando capitava di ucciderne uno era un grande onore di prammatica imbalsamarlo per tenerlo come trofeo vicino alla rastrelliera dei fucili. Verso le sette del mattino tutto era già finito ed Ernesto, con la mente sgombra di ogni nozione scolastica si avviava alla scuola dove naturalmente tutto andava malissimo
Al ritorno dalla scuola era un continuo guardare il cielo per stabilire se ci sarebbero stati venti favorevoli alla passa del giorno successivo, intanto preparava le cartucce, se per caso fossero diminuite, e per un mese ogni mattina era sempre la stessa cosa, e nello stesso tempo era la liberazione irrituale che gli permetteva di sopravvivere alla morsa insostenibile della scuola.
Ma il momento più emozionante era l’apertura della caccia sognata da giorni, mesi, nei minimi particolari: la carrozza o il carretto che doveva portarlo di notte nel luogo della battuta di caccia e l’inevitabile insonnia di almeno tre/quattro notti precedenti a questo grande avvenimento. La mattina fatidica mentre sorgeva l’alba, si sentivano cantare le quaglie; l’emozione cresceva e al momento buono della battuta era totalmente pieno di sonno e di stanchezza che il risultato diventava quasi sempre penoso. Però c’era la speranza della battuta successiva. E così per tutta l’adolescenza.
e) Parallelamente scoppiava l’amore per la pittura. Il primo acquisto con i primi soldi avuti a disposizione è stato un fascicolo riproducente la pittura di Giorgione dal quale ha copiato “il concerto sacro” (Probabilmente “il concerto campestre”, di dubbia attribuzione) e “la tempesta”. Il primo l’ha regalato al suo primo amore che era soltanto spirituale e il secondo è rimasto incompiuto e perduto in un ripostiglio.
Finalmente è stato il momento di lasciare la Sicilia per adempiere al servizio militare. L’andata a Spoleto al corso ufficiali nella caserma Garibaldi. Qui l’urto è stato fortissimo per l’assurdità della nuova vita, invece di rispondere all’appello “presente” bisognava rispondere “obbedisco”.
Un tuffo importante per conoscere gli uomini di tutte le regioni d’Italia e anche l’assurdità della preparazione a quella che è stata poi la seconda guerra mondiale.
I massari
A Pasqua, sabato alle undici si sparavano i fucili a salve, quando mancavano le campane, e ci si abbracciava.
La casa era di due piani, il piano terreno da ultimare era ancora un pagliaio. I massari allevavano cani cirnechi da conigli e i furetti. I furetti dovevano essere presi per la testa, altrimenti mordevano. Si infilavano nei cunicoli per scovare i conigli selvatici dopo che i cani li avevano trovati. Passando vicino ai cani le gambe diventavano piene di pulci.
I massari erano analfabeti. Tutti e cinque. Facevano i pitriaturi (cavatori di lava) e i contrabbandieri di vino: se lo procuravano nei paesetti dove si produceva e lo portavano in città senza pagare il dazio. In particolare uno, proseguendo il mestiere del padre. Si chiamavano Longo (Ciccio il padre, Turi, Carmelo, Provvidenza, Pippo) soprannominati Babbaneddu (tontoloni). Piccola mafia. Etica mafiosa. Ciccio era considerato guaritore di cavalli quando avevano doglie (coliti) e andava a “cirmare la dogghia” (specie di abracadabra).
Ernesto aspettava il mese di aprile tutto l’anno, non doveva esserci bel tempo, ci dovevano essere le levantate (ventate di levante e pioggia): condizione necessaria perché certi uccelli venissero dall’Africa in Sicilia. Perché il ponentino caldo portava sicuramente quaglie. Il giorno di maggiore passaggio è il 25 aprile (“S Marco, vacci cù saccu”).
Si chiamavano i massari per “cirmare le doglie ai cavalli” (fare massaggi lenti per fare passare la colica). Erano Pippo Babbaneddu, Carmelo e Turi. I massari spaccavano la pietra lava piantando gli scalpelli in fila.
Quando Ernesto si è trovato in mano gli scalpelli ha detto: “oh guarda, come i Babbaneddu”, e questa idea lo ha reso felice.
Ernesto dice: “il fatto di non essere mai calcolato da nessuno, di essere il più ignorante, il servo, l’uomo dei piccoli servizi, è stata come una molla che è stata caricata per il resto della vita”.